Di Alessandro Pascale – Avvocato – 

Le clausole contenute nelle condizioni generali di un contratto di assicurazione che prevedano esclusione o limitazioni di responsabilità per il professionista/assicuratore in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultanti da omissione del professionista stesso sono nulle anche nel caso in cui le stesse siano state doppiamente sottoscritte.

Tale principio viene delineato dall’art. 36 del codice del consumo e viene applicato dal Tribunale di Napoli con sentenza n. 9816 depositata il 12 settembre 2016 con riferimento alla clausola contenuta nelle condizioni generali di un contratto di assicurazione infortuni/malattia/assistenza che testualmente statuiva “Il diritto all’indennizzo per invalidità permanente è di carattere personale e quindi non trasmissibile agli eredi. Tuttavia, se l’Assicurata muore dopo che l’indennizzo sia stato liquidato o comunque offerto in misura determinata, la Società paga l’importo liquidato od offerto in parti uguali agli eredi”. Tale cluasola era da considerarsi appunto nulla a prescindere dalla doppia sottoscrizione, rimanendo per contro valido il contratto per le sue restanti parti, così come stabilito dalla stesso art. 36 sopra menzionato.

La clausola in questione è infatti pacificamente vessatoria poichè subordina il diritto agli eredi a percepire l’indennizzo per invalidità permanente al fatto che l’erogazione, o almeno l’offerta dell’indennizzo stesso avvenga prima della morte dell’assicurata.

Tale disposto determina come detto un sostanziale squilibrio nei rapporti contrattuali dal momento che la prestazione dell’assicuratore sarebbe nei fatti subordinata ad una scelta discrezionale dello stesso, quella cioè di procrastinare il più possibile i tempi della liquidazione dell’indennizzo.

Il Tribunale di Napoli rioprende quanto già affermato dalla Corte di Cassazione nell 2007 (Cass. Civ. Sez. III, 11 gennaio 2007 N. 395) che aveva qualificato come vessatoria la clausola di un contratto di assicurazione che aveva previsto l’intrasmissibilità del diritto all’indennizzo nell’eventualità in cui l’assicurato fosse deceduto (per cause diverse dall’infortunio) prima della concreta liquidazione dell’indennità stessa, in quanto essa non riguardava, in alcun modo, né l’oggetto del contratto, né il rischio garantito, trattandosi per contro di una limitazione di responsabilità dell’assicuratore.

La clausola in questione dovrà essere quindi dichiarata nulla ed il contratto rimarrà valido per la restante parte e, nel caso in esame, gli eredi dell’assicurata avranno diritto a percepire l’indennizzo previsto dal contratto di assicurazione.

 

Tribunale di Napoli, sez. XII Civile, sentenza 12 settembre 2016, n. 9816
Giudice Vitale

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 24 maggio 2013 Serafino, Fabio, Azzurra e Rosario Farina hanno convenuto la s.p.a. Generali Italia, quale cessionaria delle attività assicurative della s.p.a. Assicurazioni Generali, dinanzi al Tribunale di Napoli per sentire accogliere le conclusioni sopra riportate, esponendo quanto segue.
Il 18 novembre 1005 la signora Silvana Iovine stipulava con la s.p.a. Generali Italia la polizza infortuni, malattia ed assistenza “DA DONNA”, distinta dal n. 252564667, con periodo di validità dal 18 novembre 2005 al
18 novembre 2010. Tale polizza le riconosceva, come assicurata, la liquidazione di un indennizzo nell’ipotesi di infortunio e/o malattia che avesse come conseguenza la morte, un’invalidità permanente o un’inabilità temporanea.
Il 25 agosto 2010 l’assicurata comunicava alla s.p.a. Generali Italia di aver sviluppato una «… carcinosi peritoneale da adenocarcinoma di verosimile primitività vie biliari extraepatiche con secondarismi polmonari …», come diagnosticatole dal Servizio di Medicina Oncologica della Clinica Mediterranea di Napoli.
Successivamente, con lettera del 20 settembre 2010, l’assicurata denunciava formalmente il sinistro comunicando di aver manifestato «… un adenocarcinoma mediamente differenziato di natura incerta verosimilmente pancreatico …», come da parere medico della dott.ssa Teresa Troiani, medico chirurgo specialista in oncologia presso il Policlinico di Napoli.
In virtù della polizza suddetta, la signora Silvana Iovine, risultando invalida permanente al 100% a causa del tumore al pancreas, maturava il diritto alla liquidazione delle seguenti indennità: da invalidità permanente da malattia (art. 2.1. polizza); “da ricovero” in istituto di cura, reso necessario da malattia (art. 2.4, lettera A); “giornaliera da Day hospital” (art. 2.4, lettera B).
Il 30 settembre 2010, per effetto della patologia poc’anzi descritta, sopravveniva la morte della signora.
Con lettera dell’8 ottobre 2010, gli attori, nella qualità di eredi, rivendicavano la liquidazione delle indennità maturate in vita dalla loro dante causa, delle quali, alla data del decesso, non era stato ancora disposto il pagamento dalla compagnia assicuratrice: € 75.000,00 per l’indennità da invalidità permanente da malattia, € 480,00 per l’indennità da ricovero (60 euro al giorno) ed € 480,00 per l’indennità da day-hospital (60 euro al giorno).
La richiesta era stata respinta con nota del 27 dicembre 2010 con la seguente motivazione: «… il sinistro… non è risarcibile, in quanto il diritto all’indennizzo non è trasmissibile agli eredi ai sensi dell’art. 2.1 delle CGA
…». Era stata quindi reiterata con lettera del 22 ottobre 2011, in quanto la clausola non sancisce alcun divieto di trasmissibilità agli eredi nel caso di indennità maturata in vita dall’interessato. Inoltre si tratta di clausola nulla, essendo contenuta in un modulo o formulario e non essendo stata oggetto di una trattativa individuale con la signora Silvana Iovine.
Infine, aggiungono gli attori, il comportamento della compagnia assicuratrice è stato contraddittorio, non avendo avuto problemi a riconoscere la somma spettante a titolo di indennità “da ricovero”.
La s.p.a. Generali Italia, quale cessionaria delle attività assicurative della s.p.a. Assicurazioni Generali, si è costituita chiedendo la reiezione della domanda. In primo luogo, ha affermato che gli attori hanno l’onere di dimostrare la validità del contratto e l’avvenuto versamento del premio alla scadenza relativa al periodo nel quale venne denunciata la malattia.
Ha altresì affermato che per l’art. 2.1 del contratto, clausola pienamente valida, il diritto all’indennizzo per invalidità permanente è di carattere personale ed è intrasmissibile agli eredi.
Dopo la produzione di documenti il Tribunale, sulle conclusioni in epigrafe riportate, all’udienza del 28 aprile 2016 ha assegnato la causa a sentenza, riservandosi la decisione all’esito dello scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ai sensi dell’art. 190 c.p.c..

Motivi della decisione

La convenuta ha genericamente puntualizzato che la parte attrice ha l’onere di dimostrare la validità del contratto stipulato con la defunta signora Silvana Iovine (polizza n. 252564667 del 18 novembre 2005) e il pagamento del relativo premio, ma non ha negato nessuna delle due circostanze, né formulato alcuna specifica contestazione. In ogni caso, gli attori hanno assolto tale onere producendo la polizza recante la sottoscrizione dell’assicurata e le quietanze attestanti il pagamento dei premi, sicché il regolamento contrattuale deve ritenersi pienamente valido e operativo; come, del resto, ulteriormente confermato dall’offerta, che la compagnia assicuratrice ha ribadito in questo giudizio, del pagamento agli eredi delle indennità da ricovero e da day-hospital.
Può, pertanto, procedersi all’esame della clausola in contestazione. Essa è compresa nell’art. 2.1 ed ha il seguente letterale tenore, parte in corsivo compresa: «Il diritto all’indennizzo per invalidità permanente è di carattere personale e quindi non trasmissibile agli eredi. Tuttavia, se l’Assicurata muore dopo che l’indennizzo sia stato liquidato o comunque offerto in misura determinata, la Società paga l’importo liquidato od offerto in parti uguali agli eredi.».
In altri termini, tale clausola prevede che l’indennizzo per invalidità permanente viene pagato agli eredi (in parti uguali e sull’importo determinato dalla compagnia assicuratrice) a condizione che l’assicurata muoia dopo la liquidazione o l’offerta dell’indennizzo medesimo.
Orbene, l’art. 33 del Decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206 (Codice del consumo) – applicabile al contratto in esame perché stipulato fra consumatore e professionista (rispettivamente, l’assicurata e la compagnia assicuratrice secondo le definizioni contenute nell’art. 2) – stabilisce che si considerano vessatorie «le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto» e che «Si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di: … (d) prevedere un impegno definitivo del consumatore mentre l’esecuzione della prestazione del professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà…. (v) prevedere l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo come subordinati ad una condizione sospensiva dipendente dalla mera volontà del professionista a fronte di un’obbligazione immediatamente efficace del consumatore».
Le ipotesi di cui ai riportati punti d) e v), parzialmente coincidenti, ricorrono nella fattispecie, in quanto, a fronte dell’impegno definitivamente assunto dal consumatore di adempiere le obbligazioni nascenti a suo carico dal contratto, l’obbligo della società di assicurazione di erogare l’indennizzo ai suoi eredi è subordinato a una condizione, ossia la liquidazione o l’offerta dell’indennizzo medesimo, il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà. È vero che la liquidazione è resa possibile anche dalla disponibilità dell’assicurato a sottoporsi ai controlli necessari, tuttavia, quand’anche fossero state effettuate tutte le verifiche e le formalità del caso, l’obbligo della società di eseguire la prestazione indennitaria nei confronti degli eredi dipenderebbe comunque dall’esclusiva volontà dell’ente assicuratore medesimo, che, omettendo o ritardando la liquidazione, potrebbe vanificare a propria discrezione le loro legittime aspettative. Né muta i termini della questione la possibilità per l’assicurato, pure contrattualmente prevista (art. 2.2), di sollecitare l’accertamento della percentuale d’invalidità permanente.
È appena il caso di aggiungere che, già ai fini della mera applicabilità dell’art. 1341 c.c., la Suprema Corte (cfr. sent. N. 395 dell’11 gennaio 2007) aveva avuto modo di qualificare come vessatoria la clausola di un contratto di assicurazione con la quale era stata prevista l’intrasmissibilità del diritto all’indennizzo nell’eventualità in cui l’assicurato fosse deceduto (per cause diverse dall’infortunio) prima della concreta liquidazione dell’indennità stessa, in quanto essa non riguardava, in alcun modo, né l’oggetto del contratto, né il rischio garantito, introducendosi piuttosto con la stessa una “limitazione” della responsabilità dell’assicuratore.
Discende dalle considerazioni svolte che la clausola in esame è vessatoria e pertanto, a norma dell’art. 36, I comma, codice del consumo, nulla (nonostante la specifica approvazione per iscritto), ferma restando la validità del contratto.
Orbene, poiché dall’ampia e coerente documentazione sanitaria prodotta (vedi in particolare certificato medico del 20 agosto 2010, da cui emerge, fra l’altro, l’impossibilità a deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore, l’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita senza assistenza continua, la presenza di malattia neoplastica in atto) risulta provata l’invalidità al 100% sofferta dalla signora Silvana Iovine, non v’è dubbio che agli attori – la cui qualità di eredi legittimi risulta dalla dichiarazione sostitutiva di atto notorio datata 16 dicembre 2010 oltre che dal riconoscimento del loro diritto alle predette indennità da ricovero e da day-hospital – competa l’indennizzo, contrattualmente previsto e peraltro non contestato nel quantum, di € 75.000,00 da invalidità permanente conseguita a malattia.
Complessivamente, pertanto, agli attori, in uguale misura, spetta l’importo complessivo di € 75.960,00 (75.000,00 + 480,00 + 480,00). Esso, assolvendo una funzione reintegratoria della perdita subita del patrimonio dell’assicurato, ha natura di debito di valore (cfr. Cass. 28 luglio 2015 n. 15868), con la conseguenza che deve essere necessariamente rivalutato con riferimento al periodo intercorso tra il sinistro e la liquidazione, pur se non vi sia inadempimento o ritardo colpevole dell’assicuratore, rilevando la condotta del debitore solo dal momento in cui, con la liquidazione, il debito indennitario diventa obbligazione di valuta, e tanto ai fini del riconoscimento, da tale momento, a titolo di risarcimento, degli interessi moratori o del maggior danno e art. 1224 c.c. (cfr. cass. 7 maggio 2009 n. 10488). Nel caso in esame, la rivalutazione va operata a decorrere dal 15 ottobre 2010, data di ricezione della denuncia di sinistro, valevole come atto di costituzione in mora. Ne scaturisce la somma di € 87.756,56, il ritardo nella cui corresponsione dà luogo all’ulteriore credito risarcitorio per lucro cessante che, secondo la più recente giurisprudenza (Cass. SS.UU. 17 febbraio 1995 n.1712 e successive) non può realizzarsi automaticamente con l’attribuzione degli interessi compensativi sulla somma liquidata rivalutata all’attualità (come ritenuto dal precedente orientamento), ma va riconosciuto sulla base dei mezzi di prova anche presuntivi e determinato mediante l’utilizzazione di criteri equitativi.
In mancanza di una prova specifica del danno derivante dal ritardo nella corresponsione della somma dovuta e in considerazione della svalutazione monetaria intercorsa dal 15 ottobre 2010 a oggi, dell’entità delle somme dovute, del tasso di interesse legale e dei tassi medi di interesse ricavabili con le più comuni forme di investimento, si stima equo riconoscere l’attribuzione degli interessi nella misura dell’1,8% annuo a decorrere dalla messa in mora e da calcolare sulla somma risultante dall’applicazione di un indice medio di rivalutazione, ovvero sulla somma media tra quelle rappresentanti l’indennizzo all’attualità, vale a dire € 87.756,56, e quella rappresentante l’indennizzo all’epoca del fatto, contrattualmente pari ad € 75.960,00: orbene, il valore medio (dato dalla somma dei precedenti divisa per due) risulta di € 80.858,28; su questa ultima somma vanno quindi calcolati gli interessi al tasso dell’1,8% a decorrere dal 15 ottobre 2010, fino alla data della presente sentenza.
Infine, divenendo l’obbligo di pagamento, una volta accertato, obbligazione di valuta, spetteranno gli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza fino al soddisfo.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in base ai criteri di cui al D.M. 10 marzo 2014 n. 55.

P.Q.M.

Il Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Edoardo Vitale, definitivamente pronunciando, così provvede:
1) dichiara la nullità della clausola 2.1. delle condizioni generali di assicurazione nella parte in cui prevede: «Il diritto all’indennizzo per invalidità permanente è di carattere personale e quindi non trasmissibile agli eredi. Tuttavia, se l’Assicurata muore dopo che l’indennizzo sia stato liquidato o comunque offerto in misura determinata, la Società paga l’importo liquidato od offerto in parti uguali agli eredi.»;
2) condanna la s.p.a. Generali Italia, quale cessionaria delle attività assicurative della s.p.a. Assicurazioni Generali, al pagamento, in favore di Serafino, Fabio, Azzurra e Rosario Farina, in misura di un quarto ciascuno, della somma di € 87.756,56, oltre agli interessi nella misura dell’1,8% annuo sulla somma di € 80.858,28 a decorrere dal 15 ottobre 2010;
3) condanna la convenuta a rimborsare agli attori le spese del giudizio, che si liquidano in € 700,00 per esborsi ed € 12.000,00 per compensi di avvocato, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15%, con attribuzione ai procuratori antistatari.

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